La nostalgia per il futuro

Il 4 ottobre 1970 un manipolo di artisti fonda a Milano il movimento Astrarte, al primo manifesto, ne seguiranno altri quattro i cui si alternano dichiarazioni d’intenti a considerazioni quasi poetiche sul futuro dell’umanità e sul ruolo dell’artista, riassumendo in modo tranchant. Gli astrartisti proponevano un’arte che doveva confrontarsi con le nuove scoperte tecnologiche, specie quelle riguardanti i viaggi intergalattici e sulle possibilità che avrebbero concesso all’uomo il centro si un universo in espansione.
Dal punto di vista teorico il movimento aveva come precedenti illustri, più risalente il Futurismo, e meno risalente lo Spazialismo, anche se il contesto competitivo prossimo era quello dell’arte cinetica e programmata.
Dal punto di vista pittorico, proponendo una sorta di astrattismo rivisitato, l’Astrarte guardava al movimento per l’Arte Concreta di Munari – Dorfles e al movimento Arte Nucleare di Enrico Baj, il primo di stampo rigorosamente astratto, il secondo che prediligeva l’automatismo psichico tipico del surrealismo e per certi dell’espressionismo astratto. Non tanto per le soluzioni formali scelte , quanto per le connotazioni scientifiche che la delineavano e al minor interesse che hanno via via suscitato, l’Astrarte è stata obliata, rischiando quasi di scomparire dal novero delle ultime avanguardie del secondo dopoguerra e i lavori sono invecchiati nel tramontava quel primo ingenuo ottimismo nei confronti dell’energia atomica, e venivano archiviati momentaneamente i sogni di conquiste cosmiche e la luna, da meta di perigliose esplorazioni, tornava ad essere seppur violata, semplice materiale per la letteratura. Per questo motivo alcune opere degli astrartisti fanno l’effetto delle immagini della fantascienza di quegli anni, forme e scenari che non si sono realizzati, ipotesi che non si sono avverate o che si sono avverate in altro modo e in altra forma. Ed esse suscitano una sorta di nostalgia per quel passato futuribile che non è ancora. Se il limite di molta Astrarte è quello di non aver trovato soluzioni estetiche che potessero supplire all’obsolescenza del contenuto programmato nel caso di un nucleo specifico di opere di Renzo Bergamo accade il contrario una serie di lavori soprattutto disegni a matita in bianco e nero, il cui valore è intatto e nelle quali il significato trova piena rispondenza nel gesto, ed anzi la bellezza della composizione del tratto vivificano il messaggio, lo rendono eternamente contemporaneo tanto da imporre una riscoperta e una nuova presentazione al pubblico.
Di primo acchito, potrebbero sembrare opere minori, così spesso viene intesa la grafica, rispetto ad un’intensa precedente e successiva produzione di oli su tela, tecniche miste, acrilici, nei quali prevale invece il colore, domina la composizione quasi violenta di un astrattismo che a suo modo e inconsapevolmente vira al gestuale. Così però non è, non siamo in presenza di lavori minori: le matite e i pastelli non sono per nulla bozzetti o sinopie preparatorie di altro (persino quando lo sono), bensì opere autonome che rimandano per assonanza a quel proto simbolismo francese che ha il suo massimo esponente in Odilon Redon “L’Eye Balloon”(il pallone aerostatico a forma di occhio) trova infatti perfetta analogia nel simbolo dell’occhio che si ripete quasi ossessivamente nei disegni di Bergamo e diventa una costante riconoscibile. C’è però molto anche del mito macchine del futurismo, le automobili in corsa di Giacomo Balla colte nelle volute ripetute della spirale, le città fantastiche di Virgilio Marchi negli schizzi aereoplanici. Come se le parole chiave dell’Astrarte (ipervelocità- cosmologia-corpi celesti-emozioni-pensiero-energia cosmica) che rimandano a tutto il substrato programmatico  delle avanguardie precedenti avessero trovato una perfetta esemplificazione nella pittura di Bergamo “i globi, le curve, il movimento delle forme, lo stesso concetto di dinamismo erano orientati verso una rappresentazione che partiva dal microcosmo per pervenire al macrocosmo notava Andrea Bisicchia, che del gruppo fu testimone ed ispiratore così gli ammassi cellulari e stellari  convergono e si sovrappongono, le costruzioni molecolari appaiono quelle di Metropoli e di edifici di un remoto futuro, pur sempre possibile, le primordiali strutture rimandano ad esoscheletri di creature (forse) aliene o frutto di incubi.

E torniamo all’Astrarte, il movimento nasce quando un gruppo di artisti e d’intellettuali, fra cui il pittore Filippo De Gasperi, si riuniscono in Via San Carpoforo a Milano e stilano un nuovo manifesto con l’idea di dar vita a una nuova forma d’arte in grado di dialogare con la Scienza, attraverso il linguaggio della fantasia e del colore.
Le opere dovranno indagare la simbologia del Cosmo delle galassie, dell’infinito, degli astri e si confronteranno con il concetto di Tempo e Spazio, quello dettato dalla teoria della relatività. Attraverso la ricerca gli astrartisti si vogliono fare interpreti della nuova realtà sociale e scientifica e desiderano con forza “liberare l’uomo dalla forza di gravità, cioè dalla sua abitudine atavica di pensare terracquea mente e non in senso cosmico”. L’essere umano deve diventare tutt’uno con l’Universo, si deve immergere nel Cosmo per vivere la sua energia vitale attraverso la forza del sogno, della magia, della mistia e di ogni forma di pensiero non convenzionale. Pensiero infatti vuole dire creazione, logos, il soffio divino agli inizi degli evi. Il rapporto tra arte e scienza sta dunque alla base di una ricerca che vuole rappresentare in temi visibili l’invisibile della materia rappresa nei suoi elementi infinitesimali, atomici, che come già successo nel finire dell’Ottocento in piena temperie positivista non può non propendere o interessarsi a tutti quei campi che stanno sul crinale tra scienza e fantascienza, tra spiritualità e spiritismo, così che i viaggi quantici corrispondano ai viaggi astrali, che l’introspezione dei raggi X o degli acceleratori di particelle corrisponda alla facoltà quasi medianica dell’artista, di rappresentare attraverso l’inconscio, per mezzo di simboli ed emblemi, il mondo sotto o infrasensibile. Di tutte queste pratiche moderne che rientrano nell’immenso dominio dell’invisibile – spiega Jean Clair – potrebbe dar conto soltanto un’arte non “retinica” di cui l’artista si proclami medium per riprender le parole di Duchamp, Boccioni, Kupka, Kandinsky, Malevic, Mondrian attraverso percorsi differenti, condivideranno questo nuovo credo, metà spirituale e metà spiritista.
Così anche Bergamo, che aderisce al movimento nel 1974, esponente a suo modo di un’arte “non retinica “è un artista di grande potenza rappresentativa – sottolinea un epistemologo come Giulio Giorello che ha cercato, riuscendovi, di dare forma visibile non alle cose così come ci appaiono nella percezione quotidiana e nemmeno ai demoni della propria interiorità, bensì alle componenti del mondo esplorato dalla scienza, particelle elementari, atomi, molecole, pianeti, stelle, galassie.    

2016

Angelo Lorenzo Crespi

Critico d'arte e pittore, direttore della pinacoteca di Brera

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Spazio Maimeri | Renzo Bergamo | Opere 1970

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