Renzo Bergamo, figlio della galassia

In uno dei suoi appunti di poetica intorno al divenire astrale della luce, Renzo Bergamo dichiara di essere idealmente partorito nel cosmo, di sentirsi figlio della galassia e della materia che si trasforma continuamente nella sconfinata energia dell’universo. 
La centralità di quest’affermazione è il punto di riferimento per ogni lettura interpretativa della sua arte in cammino verso le origini del pensiero creativo, in armonia con le infinite possibilità di rivelare – attraverso la pittura – il magico manifestarsi dei colori, visioni luminescenti che si espandono liberamente e senza pausa. Dipingere l’infinito è sempre stata un’aspirazione degli artisti appagati non più dal descrivere il mondo visibile, ma dal sentirsi partecipi di un insieme dinamico di forme che produce altre visioni possibili, proiettate all’interno di un’entità sconosciuta destinata a durare in eterno. Lo sgomento creativo che nasce dallo sconfinamento e dalla vertigine
del vuoto spinge Renzo Bergamo a immaginare il ruolo dell’arte come scoperta dell’ignoto e – soprattutto – come volontà di insegnare agli altri l’amore della conoscenza, il desiderio di superare i limiti dello spaziotempo, l’emozione dello spaesamento sostenuta dal “coraggio di osare”. Il culto di quest’ardore guida l’avventura delle forme pittoriche in ogni fase del lungo percorso creativo, nei sottili passaggi dal mondo figurato all’astrazione indeterminata, attraverso la compresenza di fattori soggettivi e di elementi strutturali che rivelano il grande ordine del cosmo. Coltivando il dialogo tra i percorsi intuitivi del colore e i metodi di analisi del sistema cosmogonico, l’artista è consapevole che tra arte e scienza vi sono sintonie legate alla relazione interna degli elementi che costituiscono i loro rispettivi campi conoscitivi. Altri punti di contatto possibili appartengono a orientamenti basati su funzioni e intenzioni differenti; per esempio, di fronte al concetto di enigma lo scienziato mira a risolvere analiticamente questo inesplicabile nodo conoscitivo, mentre l’artista lo esplora come un’immagine aperta che produce altri enigmi, quasi senza voler definire il processo stabile e accertabile del suo svelarsi. Rispetto a simili problematiche, la ricerca di Renzo Bergamo è sempre protesa a trasfigurare pittoricamente l’energia cinetica del mondo planetario, l’accelerazione variabile delle particelle instabili, il ritmo incessante della musicalità cromatica dell’universo o – per usare una felice metafora scientifica – il flusso totale della “danza cosmica”. Attraverso vari cicli di ricerca, Renzo Bergamo indaga dal punto di vista pittorico le interrelazioni, le persistenze e le disgregazioni cui è sottoposta la materia nei gorghi dell’infinito, e ciò anche a rischio di non poter prevedere ciò che la pittura rivelerà in quei processi di trasmutazione che fanno parte del suo processo creativo. La materia è sempre elevata al massimo grado di emanazione del suo splendore visibile, l’impulso luminoso è immerso nel pensiero dell’oltre, il respiro cromatico proviene dai vapori galattici, il palpito dei segni segue le intuizioni della fantasia dilatando i confini con diverse incursioni spaziali. La figura d’artista che Renzo Bergamo ha in mente non è solo quella di un ricercatore di invisibili equilibri del colore puro, tale da poterlo inquadrare in una delle categorie stilistiche della pittura astratta del secondo Novecento. Egli rappresenta piuttosto l’anima inquieta del pittore che cerca connessioni tra mondi lontani, orizzonti terrestri ed esplosioni stellari, emozioni interiori e pensieri cosmici, pensieri vitali dell’essere che collegano passato e futuro nel divenire infinito del presente. Quest’ambizione creativa diventa filtro di visioni che sfuggono ai dogmi dell’arte analitica e concettuale per assecondare la complessità del dipingere, non riconducibile a parametri percettivi preordinati. Del resto, Renzo Bergamo vive l’operazione pittorica dall’interno, crea stati di osmosi con i dinamismi psico-fisici del colore, assimila le insorgenze della luce che si manifestano in tutte le direzioni, ben sapendo che l’immaginazione non ha percorsi stabiliti ma agisce in una rete inestricabile di relazioni da cui prende slancio ogni impulso cromatico. Il raggio d’azione dell’artista coinvolge la sfera estetica ed etica del fare pittura come riflessione sulle implicazioni fisiologiche e psicologiche del colore, in relazione all’origine del caos, fondamento di ogni immagine istantanea fissata nelle opere. In tal senso, Renzo Bergamo considera la disciplina dell’arte come non dissimile dalle scienze sperimentali, riconoscendo analogie sorprendenti tra le forme inventate dalla pittura e quelle visibili nei fenomeni della natura cosmica. La leggerezza evanescente dei pigmenti e la vibrazione plastica delle forme indicano una qualità esecutiva che rende impalpabili sottili affioramenti di simboli geometrici, i segni indecifrabili dell’invisibile, le cangianti apparizioni della luce, le curve oblique e le linee spezzate, le onde sonore e i timbri musicali, caratteri persistenti che generano armonia, anche quando la scomposizione dello spazio sembra turbare lo splendore del tutto. Le fonti della letteratura, i nutrimenti della musica, i riferimenti alla filosofia antica e contemporanea si congiungono nella complessa cultura di Renzo Bergamo alla conoscenza delle recenti teorie sui processi dinamici irreversibili, delineando un campo di interessi che guidano la sua immaginazione cosmologica. Ogni stimolo conoscitivo è sempre ricondotto al cuore pulsante della pittura, legittimato dall’esigenza di tramutare l’ispirazione scientifica in evento cromatico, le fluttuazioni del pensiero teorico in viva e palpitante fisicità del colore. Questo avviene quando l’artista s’interessa alla teoria del caos e dei buchi neri, quando usa il pi greco come simbolo del mistero, oppure quando – a distanza di anni – gli studiosi riconoscono in alcune fotografi e della NASA sorprendenti legami con i nuclei cosmici della sua prima pittura. Queste coincidenze tra visioni cromatiche e icone scientifiche non vanno intese in senso strettamente comparativo ma solo come riconoscimento del fatto che arte e scienza fanno parte di un tutto avvolgente, di un’anima comune che non richiede antagonismi e contrapposizioni. Di questa necessaria relazione con lo spirito scientifico del proprio tempo Renzo Bergamo è dunque costante assertore, sia quando raffi gura bagliori istantanei di comete, sia quando accarezza la materia con effetti nebulosi, vapori indistinti, improvvise accensioni cromatiche che bruciano i contorni delle forme. Egli usa gli strumenti adatti a cogliere le trasformazioni materiali e concettuali della realtà contemporanea, congiunge sensibilità intellettuale e rigore morale, forza espressiva e perizia tecnica, capacità dialettiche che nel corso del tempo gli permettono di raggiungere un’originalità stilistica attraverso inconfondibili invenzioni spaziali. La rivoluzione immaginativa operata dagli artisti del movimento spazialista è una costante sollecitazione per i pittori che – come Renzo Bergamo - aspirano a sconfinati dinamismi, processi figurali che spostano il pensiero oltre l’orizzonte, verso universi in espansione tra di loro. È fatale che nella pittura del Novecento ogni rivoluzione dello sguardo e ogni ridefinizione dello spazio-tempo debbano fare i conti con i fondamenti del dinamismo futurista, con il progetto di ricostruzione totale dell’ionosfera sensoriale. Non a caso, per rendere le compenetrazioni tra oggetto e ambiente non v’è migliore strategia che quella teorizzata e praticata dalla pittura e scultura futurista, dai segni plastico-cromatici trascinati da vortici inarrestabili, linee-forza fluttuanti e magnetiche traiettorie spaziali. Con analoghi risultati dinamico-formali si sviluppano le ipotesi degli artisti impegnati nella seconda metà del secolo in questa straordinaria sfida alla staticità della rappresentazione. Il riferimento va soprattutto a quei casi in cui forte è l’ansia di perseguire – come si legge nel IV manifesto dello Spazialismo (1951) “quella visione della materia universale di cui scienza, filosofia, arte in sede di conoscenza e di intuizione hanno nutrito lo spirito dell’uomo”. A questi principi si collega direttamente l’arte di Renzo Bergamo nel momento in cui, intorno ai primi anni Sessanta, inizia a misurarsi con la possibilità del segno e del colore di tradurre i dinamismi dello spazio totale attraverso ritmi intermittenti, sonorità espanse, mutevolezze luminose che dalla percezione della profondità terrestre svettano verso smisurate avventure cosmiche, con il pensiero rivolto oltre i confini del visibile, al di là delle certezze delle configurazioni esistenti. Del resto, la definizione di “astrattismo cosmico” che accompagna i molteplici esperimenti segnici e cromatici dell’artista veneto trae origine dalla convinzione che un’arte all’altezza del proprio tempo deve saper dialogare con la scienza, trasformando nella specificità delle fantasie visive quelle che sono le intuizioni del pensiero analitico. Per Renzo Bergamo ciò non significa adattamento o accettazione di un rapporto passivo con le influenze scientifiche, bensì capacità di sviluppare in senso estetico visioni analoghe e coincidenti, ponendo sempre il linguaggio grafi co-pittorico al centro del metodo immaginativo. L’assunzione delle grammatiche dell’astrattismo è funzionale al trattamento della forma come campo di scosse percettive in divenire, indagine intorno alle forze genetiche dello spazio, interrogazione continua dei processi di frantumazione dell’unità armonica. Attraverso differenti fasi di ricerca, dal figurale all’astratto e dall’astratto al figurale, l’artista esprime una tensione immaginativa che raggiunge gli esiti più originali soprattutto quando restituisce allo sguardo del lettore le fibre invisibili della materia, gli intrichi di linee sfuggenti, le velocità istantanee del pensiero intuitivo, i pulviscoli e i bagliori della luce interiore che galleggia nel vuoto cosmico. Dal minimo dettaglio alla dilatazione dei nuclei figurali, si avverte una costante allusione all’immagine del caos come genesi di tutte le forme possibili, attiva persistenza del pensiero che sviluppa un alfabeto mutevole di segni e una gamma cromatica che emoziona lo sguardo, lo coinvolge con la sua fisicità fi n dentro le stratificazioni della materia dipinta. I segni sono sottili, ambigui, slittanti, suggeriscono direzioni contrapposte, stati conflittuali ed equilibri instabili, talvolta sembrano antenne che captano energie misteriose, in altri casi comunicano il senso di disgregazione oppure la perdita di gravità delle forme. I colori sono intensi e concentrati sull’energia della luce, offrono la sensazione di muoversi all’interno di galassie in formazione, in bilico tra fusioni di segni e colori senza destinazione conosciuta, quasi sognando cosmologie arcaiche dove sciami di atomi senza tregua congiungono una particella di materia alle altre. Con questa sensibilità quasi medianica e talvolta perfino radioattiva, l’artista costruisce un viaggio irripetibile nel paesaggio mitico dell’altrove, a diretto contatto con le atmosfere violacee e nebulose del cosmo, con le vibrazioni solari del giallo e le incandescenze emotive del rosso, tra sospensioni magiche del bianco e risonanze imponderabili del blu, fino a sprofondare nella memoria del passato o nella prefigurazione del futuro. In modo appassionato e originale, la pittura visionaria e poeticamente scientifica di Bergamo sa far vibrare le corde misteriose dell’immaginazione come un campo di percorsi illimitati che egli segue con naturalezza, opera dopo opera, come un sogno cosmico “in attesa di partire”.

2013

Claudio Cerritelli

Cattedra di Storia dell'Arte presso l'Accademia di Belle Arti di Brera a Milano

Indietro
Indietro

Pittura della complessità

Avanti
Avanti

Il bambino generato dalla materia