EstEtica del Caos nelle pieghe dei mondi possibili

Se volete faccio un’introduzione alla questione, fondamentale da un punto di vista metodologico, perché è ovvio che noi non parleremo solo di Renzo Bergamo; tenteremo di trovare dei percorsi che ci permettano di intuire, se non di capire, i motivi per i quali si possa immaginare una relazione di nuovo tra il mondo della Scienza e il mondo della rappresentazione visiva dell’Arte.
Questo è un po’ il percorso che dovremmo seguire, per capire se in questo percorso una funzione attribuibile all’artista che indaga in quella direzione, ha una legittimità o meno.
Credo che se avessimo posto lo stesso problema negli anni del positivismo assoluto del 19° secolo sul rapporto possibile tra Arte e Scienza l’unica risposta che ci sarebbe stata data è quella di alcuni pittori inglesi tipo Wright of Derby che rappresentava alla perfezione gli esperimenti sull’esistenza dell’aria facendo vedere il famoso Krakatoa che moriva quando gli si toglieva l’aria nella boccia ma facendo vedere soprattutto, non il Krakatoa, ma i due fidanzati inglesi che guardavano la luna cioè rappresentando un mondo romantico complessivo in cui la Scienza era un pretesto e non era la questione centrale che si affrontava. Oggi si pone con parametri che reputo particolarmente innovativi e inattesi rispetto al passato; e sono molto felice di avere loro due (G. Giorello e S. Moriggi), due professori con me perché io in realtà so pochissimo mentre loro la sanno lunga.
Le questioni che porrò sono delle questioni che servono a farmi dare delle risposte; io sono venuto qua non per comunicare e raccontare ma sono venuto per imparare qualcosa. Quindi Giorello mi sarà utilissimo perché voglio buttare alcune domande che quelli che si occupano di epistemologia hanno sicuramente già affrontato. Nella sostanza il tema è il seguente: il ciclo artistico dal quale noi stiamo uscendo, quello che si chiama la “Modernità” si fonda negli ultimi 140-150 anni, anzi direi, che si fonda sicuramente a partire dal momento nel quale Théophile Gautier decide che l’intellettuale e gli artisti non si occuperanno più di politica perché non ne vale più la pena. Una è la strada che sarà francese e diventerà americana, ed è quella che ci viene imposta ancora oggi dai commercianti new yorkesi ed è la strada dell’Arte per l’Arte, l’estetica fine a sé stessa, il decoro totale, che ha momenti apicali in Matisse e in Bonnard, in una gran parte del mondo Picassiano e momenti molto decorativi in quella bellissima produzione estetica della scuola di New York che va perfettamente d’accordo con un arredamento moderno e delle sedie in tubo cromato. Questo è un mondo dell’Arte che si ritrova in quasi tutti i musei del mondo, e che ha una sua logica, che è quella dell’Arte per l’Arte. Probabilmente questa logica è esaurita, se si vede quanto devono investire i suoi consoli ufficiali per renderla ancora plausibile, quanto devono dominare la Biennale di Venezia, quanto devono imporsi a destra e a sinistra, si può reputare che così tanta determinazione possa corrispondere solo ad un indebolimento sostanziale del contenuto. L’altra strada che l’Arte ha seguito nel XIX° secolo e nel XX° è quella di credere che l’Arte fosse necessariamente azione; gran parte delle arti visive in questi secoli saranno impegnate in prima linea nel mondo della politica; forse di più gli italiani, i tedeschi e alcuni inglesi, dei francesi i quali continueranno sempre la linea dell’estetica pura. Poi vi è una terza strada che diventa specifica della cultura moderna, che riprende le grandi tradizioni del Rinascimento Umanista, cioè della strada che usa l’Arte Visiva per indagare all’interno della coscienza o per indagare in ciò che non si può vedere. Faccio un salto indietro. Fra ‘400 e ‘500 si sviluppano due ipotesi nella rappresentazione visiva: una di derivazione (questo è un discorso molto per Giorello) puramente Aristotelica, che crede che l’Arte debba operare la mimesis e come tale va a tentare di raffigurare un mondo almeno secondo i parametri che rendono il mondo credibile. L’altra strada è quella di pensare che l’Arte debba rappresentare il mondo delle idee, ed è la strada neo Platonica, nella quale la raffigurazione non corrisponde affatto al reale, ma corrisponde al concetto.

Da quella strada fondamentale, cioè nella quale l’Arte rappresenta ciò che non si può vedere proviene sia la Cultura Rinascimentale della sua ufficialità, che in gran parte anche la passione per il mondo dell’antichità, per la rappresentazione degli dei e anche la rappresentazione di Dio e dei suoi Santi; la rappresentazione dei Santi del ’600 e della controriforma è in realtà la rappresentazione di un mondo che non si può vedere, è un mondo che sta di là del sapere quotidiano. Questa radice è quella che torna fuori fortissima nel ventesimo secolo quando tutta la corrente surrealista usa la raffigurazione visiva come percorso per andare ad indagare, nelle grandi scienze che si stanno scoprendo, che sono quelle vere del ventesimo secolo, sostanzialmente le scienze legate alla psicanalisi e le scienze legate al linguaggio. Questa è una delle caratteristiche del ventesimo secolo.
Però le nostre strade europee vengono tutte schiacciate dal predominio di una cultura recente, quella degli ultimi 30 anni, che è una cultura sostanzialmente dell’estetica perenne, cioè l’Arte per l’Arte rimane oggi il dato ufficiale dominante. Rispetto a questo mondo che lascia un vuoto, che cosa dice la Scienza? La Scienza produce una serie di stimoli profondi in un mondo che non è più immaginabile. L’introduzione dei concetti matematici moderni, la rottura delle geometrie euclidee, tutto il percorso attuale della fisica macro e micro, portano ad una richiesta di ragionamento che non ha come sua corrispondenza immediata un visivo possibile. Non essendoci più un visivo possibile viene data una risposta dal mondo artistico attraverso la mediazione di un visivo probabile. Questo visivo probabile è una delle radici portanti dell’altro percorso dell’Arte che è uno dei più fondativi attuale, anche se rischia costantemente la confusione con l’Arte per l’Arte. Per esempio, il percorso di Lucio Fontana verso ciò che egli fa, nella sua dichiarazione di Spazialismo è un percorso di profonda e intima ricerca mistica della scientificità. Lui è il primo che tenta di capire che dietro la superficie esiste un altro mondo, che questo altro mondo ha delle dimensioni non definibili, e che queste dimensioni non definibili sono una poetica che ci proviene dalla scoperta di mondi nuovi da un punto di vista intellettuale e scientifico. Da quel momento in avanti si sviluppa un percorso completamente nuovo; in questo percorso nuovo allora diventa interessante il percorso di Renzo Bergamo, cioè uno che sta tentando di giocare con tutti i parametri che la Scienza nuova sta dando, riesce a girare intorno alla tematica dell’estetica del caos, a tutta la teorizzazione moderna recente del caos e le trasforma in un linguaggio visivo, ha compiuto un primo percorso. Questa è un po’ la situazione nella quale viviamo oggi e mi piacerebbe moltissimo su questo avere il parere di Giorello, che si occupa proprio dell’evoluzione scientifica e vorrei fare un’ultima puntualizzazione: per noi le differenze fondamentali tra Scienza Arte e Filosofia sembrano essere stabilite con maggiore determinazione; essendo la Scienza un procedimento che tenta di indagare e spiegare, la Filosofia un procedimento che tenta almeno ogni tanto di teorizzare il percorso della spiegazione, l’Arte una cosa a parte.
L’Arte rimane tuttora un meccanismo molto bizzarro, che consente la lettura in strati diversificati: se uno non capisce Kant è meglio che non se ne occupi; se uno non capisce Fontana lo può guardare lo stesso, non gli darà fastidio. Le chiavi di lettura di un’opera d’arte sono quindi molteplici mentre questo non è accettabile nel mondo della Filosofia, se non in alcuni casi, perché la Filosofia vive in quanto costantemente stimola e tollera la contraddizione e la messa in dubbio. Non è neanche introducibile nel mondo scientifico. La Scienza che tipo di rapporto può avere come stimolo sul mondo dell’Arte? È una domanda molto seria ed ha un senso che ce l’abbia oggi. È molto stimolante questo nostro incontro di posizioni, non c’eravamo preparati nulla, quindi ognuno di noi viene stimolato da quello che ha detto quello prima di lui; mi sembra un percorso particolarmente intrigante parlando di questi argomenti. Mentre parlavano i due miei esimi colleghi, non ho potuto evitare di fare delle riflessioni conseguenti: la prima è questa, curiosa, cioè quel lunghissimo periodo, scusate la distorsione che sto dando alla cosa, del pensiero che potremmo chiamare positivista che inizia con Newton, Galilei, Copernico, quand’è che si conclude? Si conclude quando nel pensiero scientifico, e prima ancora che nel pensiero scientifico applicato in quello matematico, si cominciano ad inserire dei concetti che non hanno visualità. Quella voglia di rappresentare addirittura il concetto, quel mondo si rompe definitivamente e per strade completamente diverse perché, Giacomo Balla non conosce Kandinsky, Kandinsky non conosce i ragazzi della Brücke, che non conoscono poi i primi passi dei Fauve in Francia. Tutto si rompe perché la nostra umanità occidentale si accorge che il percorso della rappresentazione deve seguire un’altra strada. Allora mi rifaccio a quello che dicevo prima; così come l’opera ha vari gradi di lettura quando lo spettatore la guarda, l’opera ha anche vari gradi di coscienza e varie origini diverse, mentre si crea nella testa dell’artista. Se voi guardate il quadro di Bergamo dietro di noi e vi immaginate, in paragone a lui, una delle opere di Kandinsky del 1911-12, per esempio o uno dei quadri enormi di Matta che rappresentano dei nanetti folli all’interno di un apparato digerente di una psiche inesistente, surrealista. Vedrete che se dovessimo far vedere i tre quadri ad un cinese che non ha mai visto una cosa occidentale, sembrerebbero fatti da uno stesso autore. Eppure l’uno è il prodotto della crisi della coscienza visiva dell’inizio del ventesimo secolo; l’altro è la voglia di appartenenza al mondo surreale, l’indagine dell’anima e delle sue contraddizioni, e l’altro ancora nasce da un dialogo nuovo con il mondo delle Scienze. Quindi noi abbiamo accertato una cosa: che il rapporto fra il rappresentato e i suoi motivi quelli che lo portano al suo contenuto, non può più appartenere a quel momento magico della Filosofia scolastica quando si credeva che forma e contenuto fossero necessariamente la medesima cosa perché questo era il diktat ideologico teologico. Il mondo di oggi accetta che le cose abbiano origini diverse ed abbiano una formalizzazione analoga, oppure che abbiano contenuto medesimo e formalizzazioni diverse. Il rapporto non c’è più. Che cosa accomuna allora questo dipinto con altri dipinti? Per esempio vorrei fare un paragone assolutamente folle; uno dei quadri più bizzarri dipinti dal Guercino, che finì nell’Inghilterra seicentesca, a tal punto che l’abbiamo rivisto questo inverno in uno dei cicli di pitture settecentesche come citazione addirittura, è il rapporto sessuale fra Giove in versione di nuvola e la ninfa Iio, un quadro di una morbidezza assoluta, non c’è nulla di sconcio, una nuvola astratta intorno ad una ninfa. Eppure lui, Guercino, rappresenta in quel momento, quello che si chiama la Mitologia. Rappresenta il mito fino in fondo, rappresenta ciò che non esiste, ciò che uno si immagina. Quello che rappresenta Bergamo è la stessa cosa. Rappresenta ciò che è, perché per lui è esattamente vero il mondo del caos che raffigura, quanto era vera la Mitologia per gli uomini del seicento. Per gli uomini del ‘600 la Mitologia non era una cosa assolutamente astratta e lontana ma concreta, sulla quale si dibatteva quotidianamente e che aveva una sua verifica nella vita quotidiana e ci si comportava in base ai miti della Mitologia. La Mitologia era oggettiva quanto per altri poteva essere oggettivo il mondo dei santi, esattamente quanto può essere per noi oggi l’intuire il mondo della microfisica. Visto in questo senso possiamo tornare al concetto di Scienza così come veniva concepito all’inizio del Seicento. All’inizio del Seicento Scienza è Il sapere, non è la specifica capacità di indagine, è il sapere nel suo modo complessivo. Questo sapere si comincia a distinguere all’interno del sapere in un sapere veramente tecnologico, che è quello del plausibile perenne, dove ragionevole e razionale vanno sempre d’accordo; invece un altro sapere completamente diverso che è quello dell’esperimento vero e proprio della vita quotidiana, quello della cultura; e una Scienza che è invece cognizione complessiva dei misteri. Queste tre strade convivono e generano tutte e tre insieme l’idea del mito; diventa quindi interessante porsi la domanda se questa non sia una pittura di una Mitologia di oggi. Se attribuiamo alla Mitologia il suo valore etimologico, cioè il conoscere il mondo del mito, è bene usare la raffigurazione visiva per rappresentare un mondo che intuiamo ma che non riusciamo a descrivere fino in fondo, vuol dire avere il coraggio di inventare una nuova Mitologia.
Allora, partendo da questo punto mi viene naturale citare un libro al quale tengo molto che è “il secolo breve” di Hobsbawm. Noi siamo cresciuti con un mito vero e proprio: quello di credere che il nostro fosse il secolo della modernità, delle grande scoperte scientifiche, della grande evoluzione.
In realtà se si ridefiniscono, come abbiamo tentato di fare anche in questi abbozzi, i rapporti Scienza-Filosofia-Arte e se si attribuisce alla Scienza quella incredibile capacità di intuire ciò che non si sa ancora e di riuscire a dimostrarlo, si riesce a distinguere fortemente il concetto scientifico da quello tecnologico. É scientifico il percorso di Pasteur che pensa al microbo prima di averlo scoperto; è scientifico il percorso Einsteiniano che inventa una teoria prima di averla dimostrata. È tecnologico chi prende la teoria e la applica. Così la storia dell’evoluzione dei linguaggi artistici è un ciclo che inizia con una sorta di rivoluzione neoclassica alla fine del diciottesimo secolo e si conclude, con quasi tutte le invenzioni che verranno ripetute durante il ventesimo secolo, nel 1918. La rottura verso l’Astrattismo, le invenzioni Futuriste, le idee prime del Surrealismo, tutta la rielaborazione di un mondo diverso dei Suprematisti, le prime decomposizioni del visivo verso l’astrazione complessiva di Piet Mondrian avvengono tutte prima del 1918. Dal 1918 al crollo del muro di Berlino sostanzialmente nel mondo delle Arti non è avvenuta un’innovazione particolare. Ma non è avvenuta un’innovazione particolarmente incisiva nemmeno nel mondo della Filosofia e forse neanche tanto in quello scientifico. Invece ricompare molto attraente curioso e stimolante il percorso dall’89 a oggi, negli ultimi 25 – 30 anni; sembrerebbe che per una sorta di magia mondiale il tentativo di ripensare il mondo filosofico, il tentativo di ridare alla Scienza un ruolo creativo e incisivo.

2007

Philippe Daverio

Storico dell'arte, critico d'arte, personaggio televisivo

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L’originario e il possibile e la teoria dei colori di Renzo Bergamo